RETI TERAPEUTICHE? Uno sguardo alla riabilitazione in età evolutiva oggi – Di C. Bencivenga

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RETI TERAPEUTICHE? Uno sguardo alla riabilitazione in età evolutiva oggi – Di C. Bencivenga

Intervento all’audizione sulla Tutela della Salute Mentale in Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati del 19 giugno 2019. Una riflessione sull’ adeguatezza di strutture e percorsi riabilitativi per adolescenti e sull’attuale criterio di definizione delle “Strutture Riabilitative”.

Prof Claudio Bencivenga Università degli Studi di Parma – Docente di Psicologia dei Gruppi e delle Famiglie.
È stato promotore nel Lazio e referente clinico della prima realtà comunitaria estensiva per adolescenti con disturbo psicopatologico (Eimì Codess sociale).
Membro FENASCOP e Associazione per le Comunità terapeutiche Mito e Realtà.  E.mail: claudio.bencivenga@unipr.it

XII Commissione Affari sociali Camera dei deputati – audizione/discussione sulla salute  mentale  delle risoluzioni 7-00164 De Filippo e 7-00206 Troiano

Roma,  giugno 2019,    Aula della XII Commissione Piazza del Parlamento 24 .

La ricerca scientifica mostra come la maggior parte dei disturbi psichiatrici che si evidenziano nell’età dello sviluppo, se non adeguatamente e tempestivamente individuati e trattati ( in un ottica di intervento precoce) permangano anche in età adulta, con evidenti conseguenze sulla salute con recidive, ricadute, finanche a raggiungere forme sempre più disabilitanti e di cronicizzazione, con ripercussioni sulle famiglie e con inevitabili ricadute nella società nel suo complesso (in ordine di risorse da impiegare, spese, ecc).

È importante ricordare che intorno a questi temi c’è stato un dibattito acceso che spesso è stato causa di rallentamento di una proficua politica sanitaria, per una difficoltà a tollerare la possibilità di contemplare l’esistenza di disturbi mentali in età evolutiva. Il disagio psichico adolescenziale, sappiamo, che in parte, in sé, può essere considerato fisiologico e destinato a risolversi naturalmente, ma esiste una frangia che può evolversi, a seconda di una serie di variabili, in veri e propri disturbi psicopatologici. [Con questi intendiamo quelle condizioni che interferiscono con lo sviluppo del ragazzo con sintomi comportamentali, relazionali, cognitivi e affettivi tali da condizionare in modo rilevante la sua vita nei diversi contesti di vita (casa, scuola, tempo libero), impedendogli di svolgere appieno i compiti evolutivi attesi della sua l’età].

Allo stato, l’esperienza quotidiana sul campo, pone in risalto sempre di più l’esistenza di una tipologia di disturbi che coinvolgono le persone di minore età molti dei quali, tra l’altro, assumono dal punto di vista sintomatologico forme nuove precedentemente

1 Federazione Nazionale Strutture Comunitarie Psicoterapeutiche

sconosciute e correlate ai cambiamenti sociali e culturali. Questo indica che non solo i disturbi esistono ma che si sono complessizzati [alcuni hanno caratteristiche “nuove” che si mescolano ai mutamenti sociali e al progredire tecnologico, delineando quadri sintomatologici in costante evoluzione. Sono aumentati i comportamenti dirompenti, spesso resi esplosivi dal contemporaneo incremento dell’abuso occasionale di sostanze, che assume un ruolo significativo sia nella slatentizzazione del disturbo psichiatrico sia nella complessità della sua gestione. Sono comparse nuove modalità con le quali si manifesta il disagio psichico, attraverso la dipendenza da Internet, l’isolamento in casa. Sono sempre più numerose le condizioni che pongono i ragazzi, in uno stato di vulnerabilità per la salute mentale: adolescenti con storie di adozione; la situazione dei minori migranti e delle loro famiglie portatrici di un forte carico traumatico; le situazioni di alta conflittualità familiare].

Spesso inoltre, si sottovaluta l’importanza di includere la famiglia nel trattamento, talora per un atteggiamento paternalistico giudicante, altre volte perché uno spazio dedicato alla cura delle relazioni famigliari comporterebbe l’impiego di risorse non disponibili.

  • Un altro punto problematico, da correlarsi sempre ai fattori che hanno rallentato l’idea dell’intervento precoce, è la disomogeneità esistente in Italia dei Servizi, derivante in parte dalla attribuzione della competenza legislativa in materia di salute alle singole Regioni → ne segue fenomeno della macchia di leopardo, spostamenti onerosi per i familiari da una regione all’altra, sradicamento degli Cosa voglio dire: a fronte di Regioni nelle quali è stato creato negli anni un adeguato sistema di servizi di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza (NPIA), ce ne sono molte altre nelle quali mancano le strutture e non vengono erogati gli interventi terapeutici di cui si ha necessità.

[ Accanto ad un’insufficienza di risposte oltre a una disomogenea dislocazione sul territorio nazionale vi è, come ha rilevato la Sinpia, un aumento medio degli utenti seguiti dai servizi ambulatoriali di NPIA del 7% l’anno con ulteriori punti nevralgici:

  • intervento: solo 2 utenti su 3 riescono a ricevere un trattamento terapeutico riabilitativo;
  • ricovero: solo un utente su 3, con necessità di ricovero, riesce ad accedere a un reparto ospedaliero di NPIA;
  • continuità: solo un utente su 10 riesce a effettuare il passaggio a un servizio per l’età adulta ]

·        Altre questioni aperte e nodi non risolti :

  • È necessario diversificare le risposte superando la rigidità di soluzioni precostituite, favorendo invece la promozione di risposte flessibili e integrate, rapidamente attivabili, ad intensità variabile a seconda dei casi, dei bisogni, a carattere diurno/ residenziale/ domiciliare , capaci di costruire tra loro complementarietà. Importanza ad della domiciliarità specializzata prevista in un qualche modo nei Lea (2017) ma non ancora recepita da tutte le Regioni. In questi casi ci troviamo di fronte a dei veri e propri paradossi. Mi riferisco a quelle realtà dove sono stati normati i criteri per la residenzialità extraospedaliera cosicchè le ASL hanno nel proprio capitolo una voce chiara e specifica per la “residenzialità”, che prevede l’intervento comunitario, ma dove tuttavia, mancano ancora ad essere normati i criteri autorizzativi per la domiciliarità per gli adolescenti con psicopatologia. Ergo le ASL , non la hanno tra le proprie voci ! Questo fa sì che a volte è più semplice inserire o far rimanere un paziente in residenzialità , piuttosto che un intervento più leggero sul tipo della domiciliarità o del compagno adulto. Ciò non solo con un esubero delle  spesa pubblica, perché la residenzialità ha costi maggiori della domiciliarità, ma magari perseverando con un intervento che è servito fino ad un certo punto (la residenzialità appunto), ma che ora è diventato inappropriato. Lo trovo questo un paradosso, un pantano burocratico, dove la burocrazia non è a servizio delle soluzioni ma finisce per rallentarle.
  • La carenza di una rete di risorse ma anche della messa in rete di quelle disponibili o di una loro intelligente integrazione induce i Servizi ad un errore metodologico. Ad esempio non si pensa per progetti ma per luoghi in una sorta di logica che segue un “modello allocativo” : “dove” collocare il paziente piuttosto che chiedersi “come” curarlo perdendo così la dimensione temporale e progettuale,
  • Altro elemento di criticità riguarda il ricovero Ospedaliero e cioè la difficoltà a trovare una pronta risposta nei casi di urgenza per le fasi acute, dovuta soprattutto alla carenza di posti di ricovero di neuropsichiatria infantile (solo 336 sul territorio nazionale) rispetto al reale fabbisogno (tra l’altro va detto che il dato dei 336 posti va confrontato con i 5000 posti letto di ricovero ospedaliero della psichiatria adulti ; come si evince c’è un gap enorme che dà la dimensione di come il tema adolescenza sia stato storicamente sottovalutato). Tale carenza costringe a ricorrere, ad interventi di tipo inadeguato di “pronto soccorso psichiatrico” all’interno degli SPDC per adulti o a far un uso improprio delle strutture comunitarie extraospedaliere costringendole a far fronte a situazioni di acuzie, o in ricoveri – sempre inappropriati – in reparti di pediatria.
  • La carenza di strutture comunitarie (adibite propriamente alla fase post acuta la cui mission è la cura e la riabilitazione e il reinserimento) se da una parte non facilita il contenimento del ricorso al ricovero ospedaliero, dall’altra crea , proprio qui, un aumento oltremisura della durata della degenza .

Indiscutibile resta il fatto che la necessità di ricovero ospedaliero può essere in parte prevenuta se a livello territoriale c’è la possibilità di effettuare, nelle situazioni di sub acuzie e post acuzie interventi efficaci: è intuibile, infatti, che la carenza di Strutture intermedie” crei un vuoto tale da facilitare l’immediato passaggio alla crisi non essendoci una “risposta cuscinetto” tra il polo ambulatoriale e l’ ospedale.

  • Altro paradosso , frutto di politiche sanitarie, che pur nel tentativo encomiabile di fornire delle risposte , risultano talvolta affrettate , dovute anche ad una mancanza costante nei tavoli decisionali di esperti nel settore:

Sto parlando del pericolo – preso atto che esiste un fabbisogno inevaso – di fornire soluzioni “poco pensate” . È il tema della residenzialità post ospedaliera estensiva , ovvero delle strutture comunitarie intermedie. Su questo tema nel tentativo di colmare un reale fabbisogno c’è il rischio di avallare (e in alcune regioni si è avallato) soluzioni anacronistiche, fuori dai tempi, dove viene riproposta, per gli interventi di una certa durata, una soluzione sostanzialmente allocativa e custodialistica e il dato lascia ancora più perplessi perché si sta parlando di adolescenti.

È il caso ad esempio di strutture come le ex cliniche/Case di Cura psichiatriche per adulti che si trasformano e sono state trasformate in Comunità per minori. Strutture (le cliniche) certamente più idonee a rispondere, a “tamponare” una situazione nell’alveo dell’urgenza, della sub acuzie e in un periodo intensivo.

Ma l’intervento trasformativo quello più propriamente estensivo , di una certa durata , volto alla “cura”, riabilitazione e reinserimento non dovrebbe essere svolto nelle comunità propriamente dette a stampo democratico familiare (massimo 10 /20 pl) ovvero in quelle realtà dove gli interventi pur se sanitari e specialistici si poggiano su un clima di domesticità in una logica distante da modelli sanitari prettamente di tipo ospedaliero ? Del resto la personalità e l’identità cresce, si forma, evolve in un ambiente familiare o in un contesto asettico, spersonalizzato che ricorda un ospedale?

Per non parlare poi che i criteri di accreditamento si sono “schiacciati” sul modello ospedaliero prevedendo una sperequazione di figure parainfermieristiche a discapito di figure più propriamente “psi” idonee ad un intervento che sia clinico/ “trasformativo” .

Insomma , c’è residenzialità e residenzialità e non si può generalizzare facendo di tutta un’erba un fascio : vanno differenziate a seconda dello specifico momento evolutivo del percorso dell’utenza, a seconda della mission e vanno anche chiamate e denominate in maniera differente. E non si può fare una Comunità estensiva dove il fulcro dell’intervento è la ′relazione′ in un luogo che – come direbbe l’antropologo francese Marc Auge – è una sorta di “non luogo”. Tra l’altro  queste grandi cliniche (oggi in alcune aree convertite in Comunità) si sono inventate i moduli con un “bypassamento” in un qualche modo della norma che vuole che le strutture comunitarie non debbano superare i 20 posti letto. E quindi abbiamo il piano dei 20 posti per adulti “intensivi” (fino a 90 giorni di degenza) poi il piano dei 20 posti per adulti estensivi (per gli interventi di maggior durata) , poi il piano dei 20 posti per minori   intensivi   e poi il piano dei 20 posti  per minori  estensivi.  E già sono 80 posti!  I criteri di accreditamento sono stati comunque rispettati , ma i pazienti sono 80! spesso con divisioni promiscue tra minori e adulti .

  • Altro nucleo critico: i tempi di attesa per la presa in carico di minori con problematiche inerenti l’area della salute mentale sono ancora molto lunghi.

Sto parlando di quelle situazioni familiari dei minori a tutela dei quali viene promossa dall’autorità giudiziaria (TM o TO) un’azione di accertamento o di sostegno o di monitoraggio. Bene, dalla tempestività dell’intervento disposto, dipende – per molti casi – l’evolversi della condizione del minore : da condizione “a rischio”  (che se presa  in tempo può avere una remissione) ad una condizione di vero e proprio pregiudizio . In altri termini, sono aumentati i provvedimenti del giudice ordinario e del giudice minorile che, durante e al termine del processo, prevedono interventi di sostegno e di vigilanza in favore dei minori e della loro famiglia, ma sono sempre più frequenti i casi in cui, per crescente carenza di risorse, l’intervento richiesto viene attuato molto in ritardo e che in alcuni casi rimane del tutto disatteso. Voglio ricordare che le inefficienze dei rapporti tra autorità giudiziaria e servizi sociosanitari sono state anche oggetto di condanne dello Stato Italiano da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per violazione degli articoli della CEDU proprio in relazione alla mancata attuazione di provvedimenti dell’autorità emessi a tutela delle relazioni parentali. Dunque anche sotto questo profilo è necessario, e non solo opportuno, un intervento volto a preservare competenze e risorse organizzative che laddove esistenti rischiano, per i generali tagli alle spese sociosanitarie degli enti territoriali, di essere svuotate di risorse umane e finanziarie.

  • In contiguità con ciò voglio rappresentare un altra situazione, se non altro peculiare, che ha a che fare sempre con i tempi di attesa, non questa volta per carenza di posti letto , ma per problemi , appunto , connessi a scelte di tipo amministrativo. Talvolta si riscontra che nei casi in cui un minore debba essere inserito in una struttura comunitaria – ove quindi l’equipe tecnica del Servizio sanitario ambulatoriale ha già valutato positivamente per questa opportunità – ci si imbatti in una serie di ostacoli amministrativi con un indebito protrarsi del tempo rispetto all’implementazione dell’intervento. A questo punto si crea un ingravescenza della situazione/problema [situazioni familiari che esplodono, un perdurare del drop out scolastico] con un inevitabile conseguente coinvolgimento del T.M. , il quale – dovendo risolvere lo stallo
  • ratifica quello che l’equipe tecnica ha già valutato , prescrivendo l’inserimento di “imperio” facendo fronte così ad una situazione oramai che si è trasformata (per il tempo trascorso) in una vera e propria non tutela. In pratica, si verifica che la parte dirigenziale della ASL si risolva ad agire nel momento in cui è letteralmente costretta a farlo, pur trattandosi di funzioni per le quali non era necessario un intervento del tribunale né la cogenza di un suo

[Si viene a creare, quindi, una situazione paradossale dove l’intervento del magistrato diventa un passe-partout. Il tribunale sostanzialmente diventa un “grimaldello” per attivare quello che già dovrebbe funzionare ex se ]

  • Altro elemento, è ancora una scarsa integrazione della rete dei Servizi che a vario titolo e livello si occupano di minori e adolescenti: famiglia, Scuola, Comuni, ASL, Tribunale come anche di una non sempre efficace formazione trasversale in grado di favorire non solo una conoscenza reciproca ma un linguaggio

Basti pensare, ad esempio, che il Lazio ha recepito soltanto nel 2016 (legge 11 del  2016 ) la nota “328 /2000” che prevedeva il sistema integrato degli interventi . Non integrazione comporta dispersione di tempo, interventi parcellizzati che rimangono fuori da un’ottica progettuale e di processo.

·      Ultimo punto critico , e finisco :

Criticità del passaggio tra la minore e la maggiore età . Sto parlando dell’accesso alle cure e della continuità nella fase della transizione all’età adulta. Per gli adolescenti con disturbi psichici gravi è assai difficoltoso il passaggio verso i servizi di psichiatria dell’adulto: mancano procedure standardizzate e la transizione riesce ad avvenire solo per pochi utenti o con un enorme ritardo [con il rischio di un vero e  proprio abbandono dell’utente e della sua famiglia]. La cosa si fa ancora più complessa – e qui torna il tema dell’integrazione -laddove ci troviamo di fronte a diagnosi miste, doppie diagnosi.

E’ il caso delle persone con disturbi specifici di apprendimento, e ancor più delle persone con disabilità o lieve ritardo mentale che dopo i 18 anni sono spesso considerate esclusivamente di competenza sociale o di non pertinenza del DSM o di appannaggio della disabilità adulta. Problemi sanitari complessi ma che trovano risposte puntiformi e parcellizzate. “Questo paziente non è di mia competenza”, “non è competenza di questo Servizio, ma di quest’altro”, dimenticando che i pazienti non sono miei o tuoi, ma nostri e dell’intera collettività!

2019-07-08T15:43:34+00:00 4 Luglio 2019|Categoria: News|Livello: , , |