Sta suscitando vasta eco la situazione dei pazienti ricoverati presso le comunità terapeutiche di area salute mentale nella attuale fase della pandemia da Covid-19.
In particolare da più parti viene segnalato come i pazienti vivrebbero, all’interno di queste Comunità Terapeutiche, una condizione di contenimento assimilata, con evidente esagerazione, a quella di reclusione.
Sul merito occorre ricordare come diverse regioni già a Marzo avessero dato indicazioni speciali circa la possibilità di movimento dei pazienti psichiatrici (e dei disabili gravi) grazie alle quali la fase di contenimento ha potuto essere gestita con un sufficiente grado di elasticità.
Dopo la “riapertura” ed il conseguente leggero allentamento delle misure restrittive, assistiamo ad una sorta di arresto di questo allentamento che di fatto congela la situazione al mese di Maggio.
Giova ricordare che, più di recente, l’assimilazione dei residenti nelle comunità Terapeutiche ai cosiddetti “congiunti” ha nei fatti consentito ulteriori miglioramenti quanto a possibilità di gestione, mantenendo un elevato grado di sicurezza, della possibilità di apertura ad uscite e visite di parenti ed amici.
Detto ciò, non si può non considerare il fatto che il vivere comunitario comporti un maggior rischio di largo contagio rispetto a quello che si corre in un ambiente ordinario famigliare o professionale.
Se è vero, infatti, che il singolo paziente è assolutamente ed a tutti gli effetti un cittadino come gli altri, con i diritti ed i doveri di ciascun cittadino, è vero che il contesto in cui risiede prevede una concentrazione di una ampia pluralità di soggetti (altri pazienti ed operatori professionali) in spazi che sono per loro natura ristretti e che per questo possono favorire una rapida diffusione del virus e la generazione di un focolaio. Il che avrebbe conseguenze potenzialmente drammatiche.
Siamo ancora in una fase di transizione e, pur condividendo molte delle obiezioni portate dalle Associazioni dei famigliari e di tutela dei pazienti, mantenere alta la guardia sull’uso dei dispositivi di protezione individuale, procedere con la massima prudenza per quel che riguarda le visite dall’esterno, ed ancora con maggiore prudenza per quel che riguarda le visite a domicilio rappresenta ancora oggi un’alta forma di senso di responsabilità verso la tutela della salute dei pazienti.
La stagione ancora bella permette invece ampia possibilità di attività all’aria aperta dove l’uso dei DPI ed il mantenimento delle distanze consente ottime possibilità di socializzazione.
Giuseppe Ferro
Vicepresidente FENASCOP NAZIONALE