“LA RIABILITAZIONE RESIDENZIALE E L’EMERGENZA COVID 19” di Sara Cassin Presidente di FENASCOP NAZIONALE

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“LA RIABILITAZIONE RESIDENZIALE E L’EMERGENZA COVID 19” di Sara Cassin Presidente di FENASCOP NAZIONALE

La pandemia COVID 19, oltre ad aver attraversato il mondo come uno tsunami globalizzato, sovvertendo radicalmente i riferimenti e le certezze di tutti su tutti i piani, evidenziando criticità e debolezze della politica, dell’organizzazione e gestione della sanità e dell’integrazione socio-sanitaria, ripropone una volta di più il tema della DISOMOGENEITA’ operativa tra le diverse regioni, e, per quello che riguarda più da vicino la Salute Mentale,  la scarsa conoscenza della natura e della reale funzione delle Strutture Riabilitative Psichiatriche (SRP).

Con buona pace dei Progetti Obiettivo per la Tutela della Salute Mentale e degli accordi quadro codificati da AGENAS-GISM, le Strutture Riabilitative Psichiatriche hanno nomi differenti nelle diverse regioni ed anche diversi livelli di inclusione nelle logiche della programmazione sanitaria, essendo ora assimilate a strutture sanitarie, ora a funzioni assistenziali o di inclusione sociale. Ancora oggi infatti la gente comune e non solo, fatica a distinguere le case famiglia dalle comunità terapeutiche, così come la disabilità psichica dalla patologia psichiatrica.

In questi giorni dell’emergenza proliferano articoli che mettono insieme istituti per disabili e anziani con le Strutture Residenziali Psichiatriche, le Comunità Terapeutiche con le Case di Cura neuropsichiatriche, segnalando, giustamente,  il pericolo di contagio nelle grandi istituzioni in cui convivono centinaia di persone. Come se lo schema manicomiale, ancora radicato nella testa delle persone e talvolta ancora presente nel “backstage” dell’organizzazione di alcuni grandi istituti, riguardasse ANCORA la psichiatria.

Se la confusione “toponomastica” sulle strutture Riabilitative in psichiatria può essere giustificata per l’uomo della strada ed eventualmente per i giornalisti, altrettanto non si può dire per quanto attiene le istituzioni regionali.

In queste settimane di emergenza sanitaria “ci si è accorti” che anche le strutture comunitarie, ancorchè piccole strutture di  5, 10 o 20 posti letto, possono diventare focolai di contagio e che il paziente psichiatrico ha esigenze di cura quantomeno assimilabili alle persone che rispetto al COVID 19 hanno particolari fragilità dovute a forme diverse di comorbilità.

Dagli Assessorati Regionali ed anche dalle Unità di Crisi, le Strutture Riabilitative Psichiatriche (SRP) di ogni ordine e grado, dalle terapeutico-riabilitative ad alta intensità alle socio-riabilitative, dapprima essenzialmente ignorate, sono state spesso investite di funzioni e responsabilità che travalicano abbondantemente il loro mandato istituzionale.

Ricordiamo che, al netto della proliferazione degli acronimi che le qualificano, le Strutture Riabilitative in Psichiatria (SRP)  sono strutture perlopiù sanitarie o a forte valenza sanitaria – in quanto riabilitative – che sono a ragione qualificate come “intermedie”.

Svolgono infatti una funzione intermedia tra ospedale e territorio, garantendo la continuità terapeutica e assistenziale assolutamente necessaria nella gestione di percorsi riabilitativi integrati (ossia sul piano bio-psico-sociale) che abbiano come obiettivo la salute mentale e la reintegrazione sociale.

La loro funzione intermedia è anche rappresentata dalla particolare composizione delle équipe di lavoro multidisciplinare che affianca i pazienti nel loro percorso di cura: professionisti di area sanitaria e sociale, in grado di padroneggiare contemporaneamente le logiche delle norme giuridiche,  della convivenza sociale e delle dinamiche istituzionali esterne ed interne al setting riabilitativo.

Intermedio è anche il contesto d’azione nei piccoli spaccati territoriali sui quali le strutture insistono: le piccole realtà riabilitative interagiscono dinamicamente con i contesti urbani e rurali assolvendo una preziosa funzione di animazione ed inclusione territoriale in cui l’economia circolare è protagonista: gli operatori spesso conoscono le attività commerciali, produttive, rurali ed associative dei dintorni delle strutture, delle quali le strutture stesse si servono, essendo loro stessi parte di quel tessuto e quindi sani tramiti di inclusione e integrazione.

Questa particolare caratteristica le rende strumenti ideali di connessione territoriale oltre che garanzia di continuità terapeutica.

Questa , in sintesi, la loro funzione ri-abilitativa in senso lato. Questo il mandato istituzionale che il Servizio Sanitario Nazionale conferisce loro quando le accredita come Strutture Sanitarie o Socio Sanitarie.  Questo è il “patentino” che legittima la loro esistenza come parte di un servizio pubblico, ancorchè gestiti da enti giuridici ascrivibili al privato sociale o imprenditoriale.

Connettori quindi, non contenitori; servizi pubblici, snodi di una rete di cura e non imprese private dedite al proprio esclusivo lucro.

In queste settimane di emergenza, disorientamento e confusione, alle strutture intermedie è stata negata l’attenzione imprescindibile per qualsiasi struttura comunitaria con un mandato terapeutico-riabilitativo, quindi con funzione sanitaria.

Come alle famiglie isolate nelle proprie case dal lockdown,  per le SRP è stata opportunamente disposta la chiusura alle visite esterne e la giusta blindatura rispetto ai contatti con l’esterno. Ciascuna organizzazione ha naturalmente aggiornato i propri protocolli interni di sicurezza e della prevenzione e gestione del rischio, obbligatoriamente presenti nell’ambito organizzativo interno, attivando tutti i comportamenti preventivi e tutelanti ospiti e operatori per fare fronte a questa straordinaria emergenza che, come sappiamo, richiede dotazioni e competenze specifiche differenti dalle dotazioni standard, ed in numero adeguato.

Tuttavia, nelle SRP non è sempre stato possibile l’approvvigionamento di tali dotazioni: in diversi casi non sono arrivati sufficienti Dispositivi di Protezione Individuale dalle Unità di Crisi e , quando gli stessi DPI sono stati acquistati autonomamente dalle strutture, sono stati requisiti alle dogane dalla Protezione Civile, per essere ridistribuite (forse) negli ospedali , né si è provveduto all’individuazione dei contagiati effettuando tamponi o esami sierologici a operatori e pazienti che permettessero di attivare le indispensabili procedure di isolamento e terapia specifica.

Ma soprattutto alcune Aziende Sanitarie stanno chiedendo in questi giorni anche alle SRP, come già fatalmente chiesto alle RSA, di gestire internamente casi di contagio, esponendo a grave rischio ospiti e operatori, oltre che a responsabilità civili e penali dirigenti e operatori stessi. Trattando questa volta le SRP come fossero ospedali, in grado di gestire, oltre che la riabilitazione psichiatrica, anche il contagio virale.

Qualche esponente politico regionale si è addirittura spinto a dichiarare che le RSA ,come le altre “strutture private”, avendo un direttore sanitario interno, dovessero provvedere alle proprie necessità senza nulla pretendere dalle regioni. Come se i pazienti inseriti nelle SRP fossero pazienti delle strutture e non in carico al Servizio Sanitario Nazionale.

Non è certo il tempo delle polemiche e dei mantra strumentali a portare l’acqua al proprio mulino, tanto cari a certa politica italiana bipartisan, quanto quello di guardare con lucidità alle formule matematiche che indicano come la cooperazione sia meglio della competizione.

Urge pianificare protocolli operativi condivisi  che mettano in rete strutture e funzioni specialistiche, consentendo di mettere in campo le specifiche competenze e di integrarle  in percorsi virtuosi, istituendo strutture esclusivamente dedicate alla gestione di pazienti psichiatrici COVID positivi nelle diverse modulazioni del percorso terapeutico. Se infatti, in condizioni “normali” prevediamo la gestione dell’urgenza e dell’acuzie in SPDC,  la subacuzie o in generale la gestione ospedaliera del paziente in casa di cura e la riabilitazione psico-socio-terapeutica nelle SRP, in tempi di COVID dovrebbero essere previste strutture Covid per ciascuna tipologia (SPDC, Casa di Cura, SRP) organizzando servizi “domiciliari” in strutture ricettive per gestire la quarantena asintomatica o paucisintomatica.

In questo modo si metterebbero a sistema istituzioni oggi isolate e inopportunamente inefficaci, non certo per loro volontà, quanto per scarsa lungimiranza e miopia organizzativa.

Siamo in ritardo, il tempo stringe e il pericolo contagio non è ancora scongiurato.

Sara Cassin